GLOBUS – L’ambientazione e il concetto
Globus è un romanzo complesso. Spero non “complicato”.
La trama intreccia due storylines che riguardano epoche, personaggi e (in apparenza) luoghi completamente diversi e separati, un puzzle che solo alla fine acquisterà senso, con la rivelazione di quale legame unisca la sorte di questi due mondi.
E l’ho già detto, che una delle due storie viene mostrata in ordine cronologico inverso? Ma non si tratta di un puerile trucco narrativo per “fare gli strani”, no! Gli eventi si snodano davvero in quella maniera, perché la freccia del tempo è un concetto molto malleabile per una divinità.
In fondo, essere un dio significa fare ciò che mi pare, quando voglio, per qualsiasi motivo, senza renderne conto a nessuno, giusto?
Be’, no. Questo è il succo della storia.
In un romanzo il cui nucleo si può sintetizzare nel concetto di “accettare ciò che non si può cambiare” (in primis, le leggi di natura), in cui ogni singolo personaggio lotta contro una particolare incarnazione di questo problema, una dea che per capriccio infrange le sue stesse leggi, che manda in rovina il mondo che lei stessa aveva creato e che avrebbe dovuto custodire, lei è la colpevole più grande, l’origine di tutti i mali. Al punto che il dio supremo del multiverso manda il suo emissario a punirla. Ma nessuno può privare una dea di tutti i suoi poteri, ed ella, anche se prigioniera, troverà il modo di perpetrare una violenza ancora più grande.
A sua volta, l’intervento dall’esterno ha innescato un processo ricorsivo di continua distruzione e rigenerazione. I poveri mortali sono presi in questo “pendolo” temporale senza via di scampo.
Eppure…
Si può dare un senso alla propria esistenza ed esercitare il libero arbitrio quando si è letteralmente dei giocattoli nelle mani di entità più grandi?
Seluma e Luoth pensano di sì, a patto che non ci si incaponisca a chiedere l’impossibile.
È permesso a una divinità fare proprio tutti i comodi suoi, sostanzialmente infischiandosene? Il dio supremo del multiverso (che, tra parentesi, è un albero, ma sa farsi capire) pensa di no, perché, quando si creano degli esseri viventi, si assume una qualche forma di responsabilità verso di loro.
E la Pianta sarà sempre lì, a vegliare su tutto e tutti, pronta ad ascoltare e tendere una mano a chi lo chiederà.
Una foglia. Una radice. Ci siamo capiti.