Quale bersaglio?

Cercando di studiare la maniera di proporsi coi propri lavori indipendenti e trovare lettori, ci si imbatte in mille consigli di marketing. Non essendo la mia materia e avendo un interesse pressoché nullo per essa, ci capisco molto poco.

Quindi è sicuro che sbaglio io.

Ad esempio… che senso ha pubblicizzare a destra e a manca un prodotto che non è ancora in vendita, e non lo sarà per mesi? Una mossa che, a mio parere, funziona quando la propria attività è già conosciuta, quando ci sono persone che ci seguono e possono essere interessate alle nostre nuove uscite. O quando si prepara il piano di pubblicazione di una serie a puntate.

A parte che, anche in questi casi, se io lettrice mi imbatto in un’opera che mi intriga e mi interessa, e quando vado per acquistarla scopro che sarà in commercio solo a marzo 2022, la prima cosa che penso è che l’autore sia scemo, ma ti pare che io me lo segno sul calendario e torno qui l’anno prossimo per comprare il libro di uno sconosciuto, che non so nemmeno se mi piacerà?!

Un negozio di prossima apertura mette i cartelli prima, certo, ma li mette per strada, sulle vetrine del locale, dove per forza di cose lo vedranno centinaia di persone; se il padrone appende l’avviso nelle scale di casa sua dubito che la cosa gli sia di aiuto.

E, diciamo la verità, un blog è appena più del proprio salotto: una zona aperta al pubblico, ma che la gente deve sapere che c’è, prima di poterla trovare. Quindi, appunto, è paragonabile alle scale del condominio, a un giardinetto nascosto, a un localino appartato che non dà sulla strada.

Però lo dicono tutti, di far così, proprio tutti, quindi dev’essere una tecnica giusta.

Qui si rivela come sia io la scema, probabilmente. Non sono ironica, mi sto preoccupando davvero.

E un’altra bella questione spinosa è la ricerca del proprio target, il pubblico ideale.

Si suggerisce di procedere per parole chiave, in base agli argomenti trattati nel libro.

Mi sembra (sempre per la mia ignoranza) una tecnica fattibile solo per il mainstream, la letteratura non di genere.

Perché, se si scrive fantastico, i temi, diciamo così, “universali” sono sì presenti, ma trasposti, e, per quanto la storia possa prendere spunto da problemi reali della vita vera, ed essere quindi ben comprensibili e potenzialmente interessanti per qualunque lettore umano, la trama principale è di solito così “particolare” da essere poi appetibile per pochi.

Ad esempio, poniamo che il protagonista sia un bambino che ha perso il padre, ed è in conflitto con la madre iperprotettiva che non capisce il modo giusto per affrontare il lutto che ha devastato entrambi. Credendo di proteggerlo, lo sta soffocando.

Bene, ma la storia è un fantasy, e si dipana dell’album da disegno del piccolo, in cui lui ha trovato modo di entrare per interagire con le figure da lui stesso create, mentre la mamma, credendolo fuggito, lo cerca dappertutto.

Avrebbe senso pubblicizzare questo libro in un sito che si occupa di problemi genitoriali?

Io non penso proprio.

Chi legge fantasy è appassionato di fantasy per se, non degli argomenti e dei temi che vengono affrontati nella narrazione. Non viene attirato dal fatto che si parli del razzismo, dell’ecologia, dei rapporti tra uomini e donne, della corruzione del governo. E a chi interessano queste cose non so se fa piacere trovarle in un libro che le affronta in modo “anomalo”. Potrebbe persino offendersi!?

Mi sbaglio? Mi baso troppo su come la penso io, non riesco a vedere al di là del mio naso?

Eh, boh. Che poi il mio naso sarebbe tutto da rifare, ma io non ho mai voluto…

Ah, l’esempio si riferisce a una storia realmente scritta, il mio racconto lungo Macchie di colore, che spero di pubblicare… boh chissà quando. Rimanete in attesa (dico, parlando col vuoto)!

A proposito, lasciate che vi illustri la differenza tra precisione e accuratezza…

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